domenica 28 aprile 2013

Leonardo da Vinci: sintesi tra arte e ingegneria

Chi fu Leonardo?
Un pittore, uno scienziato, un anatomista, uno scenografo, un disegnatore o un architetto?
In ultima analisi, si può dire che fu un artista che poneva la ricerca scientifica al centro delle proprie creazioni e un ingegnere che si serviva dell'arte per qualsiasi progetto tecnico.
La sua produzione è composta da un esiguo numero di dipinti, ma da una straordinaria quantità di appunti e disegni, dove la pittura e la scultura sembrano occupare un ruolo marginale, e dove si passa dall'anatomia al moto delle acque, dal volo degli uccelli a macchine che sembrano anticipare la bicicletta, il paracadute o l'aereoplano.
L'indagine tecnico-scientifica in questi studi è tutta veicolata dall'immagine: è presente un atteggiamento empirico, in profonda sintonia con la nuova cultura scientifica che sarà poi impersonata da Galileo; tuttavia, la scienza di Leonardo è ancora medievale, perchè non ha ancora intuito l'importanza della misura, del numero e dell'esperimento. I disegni restano carta nello studio di Leonardo, che li custodisce gelosamente come se fossero, appunto, opere d'arte; i progetti non vengono messi in pratica, nè diffusi.
Per approfondimenti su Leonardo visitare il sito e il sito.

Di seguito propongo alcune creazioni di Leonardo da Vinci che ben testimoniano la grande varietà dei suoi interessi.





La Gioconda, 1503-06.

Studio di prospettiva per l'Adorazione dei Magi, 1481.
Modello dell'uomo derivato da Vitruvio.
Studi di anatomia sui feti.

Macchina per la lavorazione degli specchi.

Chiese a pianta centrale, 1484-1487.



In fin dei conti, parlando di Leonardo, forse non è esatto dire che scienza e arte erano due aspetti separati della sua personalità, forse lui era l'unione delle due.

Se fosse... un quadro!

Se questo blog fosse un quadro, sarebbe Pioggia vapore e velocità di William Turner.


William Turner, Pioggia vapore e velocità, 1844.

William Turner fu uno dei protagonisti del Romanticismo (fine Settecento, metà Ottocento) e, in accordo con tale movimento culturale, letterario e artistico, si mostrò sempre sensibile ai temi della natura, della storia, del rapporto tra l'uomo e l'infinito. Nel procedere della sua carriera, i dipinti si svincolarono sempre più dalla rappresentazione oggettiva per divenire pure variazioni sui colori; gli spazi si dissolvono, le forme cessano di essere percepibili e si mescolano nel colore.

L'ispirazione di Pioggia, vapore e velocità è realistica e rappresenta l'emozione provata dall'artista nello sporgersi dal finestrino di un treno su un ponte, durante una pioggia torrenziale. Il dipinto si può intendere come un omaggio alla rivoluzione industriale e una testimonianza delle novità apportate dalla tecnologia al paesaggio, ma l'attenzione è focalizzata sugli effetti del vapore (segno dell'innovazione portata dalla rivoluzione industriale) e dei fenomeni naturali, la pioggia e il vento. L'opera riunisce la tecnologia, la natura e il sentimento della piccolezza della scienza umana rispetto alla potenza dei fenomeni naturali, i quali, nel loro scatenarsi, quasi cancellano e rendono irriconoscibile ciò che l'uomo può creare (qui il treno e il ponte).
Turner fu rimproverato per il suo modo i dipingere troppo lontano dai fatti reali e concreti, questo perché lui era interessato a cogliere una verità più profonda delle cose immediatamente percepibili.

Quest'opera mette bene in luce quello che è l'obiettivo del mio blog: andare a scovare quali siano stati, nel corso della storia, i rapporti tra l'arte e la tecnologia, come la prima abbia rappresentato le innovazioni scientifiche, e come quest'ultime abbiano modificato il "sentire" degli artisti e il loro modo di creare.


venerdì 19 aprile 2013

L'arte prima e dopo l'invenzione della stampa




L'invenzione della stampa, attribuita a Johann Gutenberg che nel 1455 creò la prima Bibbia stampata, ebbe importanti conseguenze nell'arte; ne spiego il motivo.
Nel corso dell'Alto Medioevo, in assenza di grandi imperi e corti reali, la cultura si concentrò in piccoli centri sparsi nelle campagne, i monasteri. In questi luoghi erano presenti grandi biblioteche il cui compito era di conservare documenti, codici, volumi antichi e di proteggerli dalla distruzione; è grazie alle biblioteche dei monasteri se oggi possiamo leggere opere antiche del mondo latino e greco. Il libro fu per tutto il medioevo un luogo privilegiato per l’espressione della cultura artistica, in cui scrittura e immagini instaurarono un rapporto intimo e strettissimo. Il luogo centrale, in questo ambito, era lo scriptorium, la grande e luminosa sala in cui, servendosi della pergamena e dei colori prodotti e lavorati nello stesso monastero, i monaci ricopiavano i testi a mano, parola per parola.
E' in questo contesto che nacque l'arte della miniatura: tale parola deriva dal latino minium, termine che nell’età antica e nei primi secoli del Medioevo indicava il cinabro, ossia il solfuro di mercurio, sostanza di colore rosso usata nella pittura antica e adoperata per dipingere in rosso iniziali e titoli di testi scritti. in origine miniare significò dunque "scrivere con il colore rosso", ma più tardi si estese a indicare la decorazione e l’illustrazione di un testo scritto fino a diventare una vera e propria arte (da ricordare che durante il Medioevo, in assenza di grandi commissioni provenienti da sovrani o imperatori, si svilupparono maggiormente le arti minori, oltre la miniatura, l'oreficeria e la decorazione del vetro).

Nel corso del Duecento il centro di produzione del libro si spostò al di fuori del monastero; nuovi centri di esecuzione, decorazione e illustrazione dei manoscritti divennero la città, fatto legato allo sviluppo delle università, nuovi poli culturali. Il lavoro di scrittura e miniatura diventò un vero e proprio mestiere, esercitato da professionisti specializzati e organizzati. . Nel Trecento e nel Quattrocento il consumo di libri aumentò e sempre più numerosi furono i manoscritti realizzati per committenti laici che li utilizzavano ad uso privato, per lo studio, per la piacevole lettura, come sempre più numerose furono le miniature in esse presenti.
Mentre in principio la miniatura consisteva in una decorazione della prima lettera della pagina, successivamente le figure divennero sempre più grandi; il possedere volumi con molte miniatuire era motivo di vanto, data la raffinatezza di questa arte.
( per approfondire qui e qui)



Resurrezione, anonimo, secolo XV.


Frontespizio per codice di Virgilio, Simone Martini, 1340.

Lettera miniata.


Come già anticipato, l'invenzione della stampa modificò e successivamente "uccise" la miniatura.
In una prima fase le due furono affiancate: in vari libri stampati di fine Quattrocento comparirono illustrazioni di pagine e decorazioni di capoversi, segno che quest'arte restò ancora simbolo di prestigio e ricchezza. La seguente immagine ne è un esempio:



Pagina della Bibbia stampata da Gutenberg nel 1455.
Tuttavia l'invenzione della stampa portò alla nascita di nuove tecniche artistiche per l'illustrazione, che possedevano vari vantaggi: mentre le miniature erano difficili, costose e richiedevano molto tempo, queste, grazie alla stampa, erano veloci e riproducibili per un buon numero di volte, con immediata riduzione dei costi. Mi riferisco alle tecniche (che in alcuni ambiti artistici vengono ancora utilizzate) della puntasecca, dell'acquaforte dell'acquantina, della xilografia, della litografia e simili (delle quali al sito si si offre un'ottima descrizione); tutte si basano sulla presenza di una matrice (di legno, pietra, rame ecc) incisa con punte metalliche o lavorata con acidi. Utilizzate in partenza solo per testi scritti, questi sistemi di produzione possono oggi essere considerati delle forme d'arte, diffusi anche in epoche molto lontane dal Medioevo.

 Autoritratto, Rembrandt, 1630. Acquaforte.







Il sonno della ragione genera mostri, Francisco De Goya, 1797. Acquaforte e acquantina.

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Serigrafia artistica Andy Warhol.

lunedì 15 aprile 2013

Villard de Honnecourt e l'esserzialità della forma

Sembra che lo sviluppo della tecnologia e dell'ingegneria sia, almeno alle sua origini nel Medioevo, profondamente legato a uno degli aspetti dell'arte, il disegno, primo passo per raggiungere la riproduzione di un fenomeno.
A questo proposito, si può affermare che il primo trattato di ingegneria della storia sia un taccuino di appunti e disegni scritto intorno al 1265 da Villard de Honnecourt, manoscritto così considerato perchè in esso l'autore cerca di unire "arte del disegno" e "disciplina della geometria" nel mostrare alcuni aspetti dell'arte della costuzione.
In accordo con il tema trattato da questo blog, quello che voglio mettere in evidenza è come la ricerca di Villard, da lui intesa in senso tecnico e (seppur in modo primitivo) ingegneristico, sia in realtà vicina a forme d'arte sia del suo tempo sia di tempi successivi e molto lontani dal suo contesto, frutto di pensieri ben diversi.
Villard, infatti, vuole trattare essenzialmente di architettura, ma accanto a disegni di congegni meccanici, ve ne sono altri che mostrano una spiccata attenzione per l'espressione umana e per il mondo animale.



Villard de Honnecourt, foglio 4


Giotto, Crocifisso, 1290
Paul Gauguin, Il Cristo giallo, 1889.


Le pagine che trovo più interessanti solo le seguenti:






Questi disegni mostrano figure umane e di animali rappresentate tramite forme geometriche, in particolar modo con triangoli; nell'intento di utilizzare la matematica non solo per la creazione di macchine e edifici, ma anche per immagini del mondo naturale, Villard sembra dire che tutto è forma geometrica e giunge ad una grande essenzializzazione della figura. Una straordinaria opera di astrazione che qui è, in ambito tecnologico, tesa ad una spiegazione geometrica e precisa delle forme e di come queste si possano riprodurre, ma che trova  collegamenti, con un enorme scarto temporale, nell'arte di fine Ottocento e di buona parte del Novecento, quando essa ha smesso di essere imitazione della realtà, copia, ed è andata alla ricerca della sintesi delle forme. Ciò è testimoniato dalla celebre frase del pittore impressionista Emile Bernard: "Tutto in natura è formato da sfera, cilindro e cono".
Di seguito propongo alcuni esempi.


Paul Cézanne, Due giocatori di carte, 1892.


Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca, 1917.

Pablo Picasso, Les demoiselles d'Avignon, 1907.








venerdì 12 aprile 2013

Cavallo di Troia: l'Eneide di Virgilio e il Satyricon di Petronio




Il Cavallo di Troia è probabilemente la più antica macchina di cui racconta la nostra letteratura, se si considera che la guerra che vide scontrarsi Achei e Troiani è databile al XIII secolo a.C..
Il Cavallo è un'invenzione del greco Odisseo (Ulisse per i Latini): cava all'interno, la macchina nasconde valorosi guerrieri achei, i quali, una volta che il Cavallo è fatto entrare in città come dono alla dea Minerva, nottetempo escono dal ventre, aprono le porte di Troia, permettendo così al resto dell'esercito di entrare in città, e sconfiggono definitivamente i Troiani.

La storia del cavallo di Troia non viene raccontata nell'Iliade di Omero, ma nell'Eneide (19 a.C.), poema epico di Virgilio, e successivamente ripresa, in senso più ironico, nel Satyricon (I secolo d.C.) di Petronio.
E' importante notare il lessico utilizzato dai due autori per indicare il Cavallo. Il termine latino usato è machina, il cui significato, se si cerca su un qualunque vocabolario latino, è di "ordigno, macchina da guerra, macchinazione, inganno, insidia"; mentre per noi "macchina" indica un qualunque congegno, che sia un'automobile o una macchina per cucire, per i Latini (è ugualmente per i Greci che utilizzavano la parola
mhcanh) questa parola ha un significato negativo, di frode e di trucco, è qualcosa che si fa di nascosto e che non si rivela all'avversario, come può essere un'arma da assedio o un cavallo fatto passare per dono votivo, ma pieno di soldati, per l'appunto.
Il termine latino che, invece, indica la macchina nel senso da noi inteso è ingenium che, infatti, cercato sul dizionario, significa "ingegno, intelligenza, capacità, cosa fatta con ingegno, cosa geniale, ispirazione, invenzione"; per i Latini è l'ingenium che caratterizza gli architetti, i costruttori di ponti e strade, ed è l'ingenium che sta alla radice del termine ingegnere.


Il Cavallo costruito per la produzione del film Troy e poi donato alla città 



Di seguito riporto i brani dell'Eneide e del Satyricon in cui si parla della machina del Cavallo di Troia; ho evidenziato i termini che rimandano a quanto ho spiegato sopra.

I capi greci, prostrati dalla guerra e respinti dai Fati
dopo tanti e tanti anni, con l'aiuto di Pallade
fabbricano un cavallo simile a una montagna,
ne connettono i fianchi di tavole d'abete,
fingendo che sia un voto (così si dice in giro)
per un felice ritorno. Di nascosto, nel fianco
oscuro del cavallo fanno entrare sceltissimi
guerrieri, tratti a sorte, riempiendo di una squadra
in armi la profonda cavità del suo ventre.
[...] Noi pensammo che fossero andati via
salpando verso Micene col favore del vento.
E subito tutta la Troade esce dal lungo lutto.
[...]Alcuni stupefatti osservano il fatale
regalo della vergine Minerva ed ammirano
la mole del cavallo; Timete per primo
ci esorta a condurlo entro le mura e a porlo
sull'alto della rocca, sia per tradirci, sia
perché le sorti di Troia volevano così.
Invece Capi ed altri con più accorto giudizio
chiedono che quel dono insidioso dei Greci
sia gettato nel mare od arso, e che i suoi fianchi
siano squarciati e il suo ventre sondato in profondità.
La folla si divide tra i due opposti pareri.
Allora, accompagnato da gran gente, furioso,
Laocoonte discende dall'alto della rocca
e grida da lontano: "Miseri cittadini,
quale follia è la vostra? Credete che i nemici
sian partiti davvero e che i doni dei Greci
non celino un inganno? Non conoscete Ulisse?
O gli Achivi si celano in questo cavo legno,
o la macchina è fatta per spiare oltre i muri
e le difese fin dentro le nostre case e piombare
dall'alto sulla città, o c'è sotto qualche altra
diavoleria: diffidate del cavallo, o Troiani,
sia quel che sia! Temo i Greci, anche se portano doni."
Così detto scagliò con molta forza la grande
lancia nel ventre ricurvo del cavallo di legno.
L'asta s'infisse oscillando, le vuote cavità
del fianco percosso mandarono un gemito
rimbombando. Ah, se i Fati non fossero stati
contrari e le nostre menti accecate Laocoonte
ci avrebbe convinto a distruggere il covo
dei Greci; e tu ora, Troia, saresti ancora in piedi
e tu, rocca di Priamo, ti leveresti in alto.

 Virgilio, Eneide 2,14- 56, trad. M. Ramous.


La processione del Cavallo di Troia, Tiepolo, 1740 circa.

[parla Eumolpo] Ma siccome ti vedo tutto concentrato su quel
quadro con la presa di Troia, cercherò di spiegartene il soggetto in versi: 
Già la decima estate assediava i mesti e incerti Frigi
e il nero dubbio invadeva la fede del vate Calcante,
quando al responso di Apollo crollano recise le vette
dell'Ida, cadono i tronchi tagliati gli uni sugli altri,
e già danno forma a un cavallo minaccioso. Nel vasto fianco
si apre uno squarcio di caverna che dentro nasconde
uno stuolo agguerrito d'armati. Lì s'annida un valore infuriato da
un decennio di guerra, e i Danai stipati
si celano in quel dono votivo. O patria! Noi credemmo in fuga
le mille navi e libero il suolo patrio dalla guerra.
Questo trovammo inciso sulla bestia, questo affermò
Sinone pronto al destino, possente menzogna verso il baratro.
Sciama a frotte dalle porte la gente, a offrire voti
credendo finita la guerra. Rigano i volti le lacrime,
è un pianto di gioia che invade gli animi ancora in subbuglio.
Ma nuovo timore le caccia. Capelli sciolti al vento,
Laocoonte ministro di Nettuno fende urlando la folla,
vibra la lancia, la scaglia nel ventre del mostro,
ma il volere dei numi gli fa debole il braccio,
e il colpo rimbalza attutito, e dà credito all'inganno.
Ma ancora egli chiede vigore alla mano spossata
e saggia con l'ascia i concavi fianchi. Trasalgono
i giovani chiusi nel ventre panciuto, e al lorosussurro
la mole di quercia palpita d'estranea angoscia.
Quei giovani presi andavano a prendere Troia,
finendo per sempre la guerra con frode inuaudita.

 Petronio, Satyricon, capitolo 89, trad. G. Reverdito.

mercoledì 10 aprile 2013

La città delle macchine

Il luogo in cui si svolge la vicenda narrata in Hard Times è di centrale importanza nel libro di Dickens e merita pertanto un'attenzione adeguata.

 Time went on in Coketown like its own machinery: so much material wrought up, so much fuel consumed, so many powers worn out, so much money made. 
(Hard Times , parte prima, capitolo 14).

Coketown può essere presa come esempio di città industriale inglese della seconda metà dell'800. Dickens in Hard Times ne fa molte descrizioni, tutte caratterizzate da un senso negativo; questa città è un luogo polveroso, caldo, unto e trasudante l'olio delle macchine, le quali sembrano conferire vita al luogo, vita di cui sono privi gli abitanti. Un luogo in cui si fa tanto (come scrive Dickens nel brano che ho sopra inserito, "tanto materiale lavorato, tanto combustibile utilizzato, tanta energia consumata, tanto denaro guadagnato"), ma anche un luogo in cui si riflette poco su quello che si compie. Coketown e i suoi abitanti sono ciò che producono.
     
L.S. Lowry, Industrial Landscape, 1955
The Fairy palaces burst into illumination, before pale morning showed the monstrous serpents of smoke trailing themselves over Coketown. A clattering of clogs upon the pavement; a rapid ringing of bells; and all the melancholy mad elephants, polished and oiled up for the day’s monotony, were at their heavy exercise again.
Stephen bent over his loom, quiet, watchful, and steady. A special contrast, as every man was in the forest of looms where Stephen worked, to the crashing, smashing, tearing piece of mechanism at which he laboured. Never fear, good people of an anxious turn of mind, that Art will consign Nature to oblivion. Set anywhere, side by side, the work of God and the work of man; and the former, even though it be a troop of Hands of very small account, will gain in dignity from the comparison.
  (Hard Times, parte prima, capitolo 11).

Come manifestato dalla citazione precedente, Dickens si rivela cosciente della contrapposizione, in una società tutta incentrata sulla fabbrica, tra uomo e macchina e del rischio del primo di trasformarsi nella seconda. Quando l'autore scrive "So many hundred Hands in this Mill; so many hundred horse Steam Power." (centinaia e centinaia di mani al lavoro in questa fabbrica; centinaia e centinaia di cavalli vapore) ci vuole in realtà mettere in guardia dalla possibilità di diventare "mani", cioè ingranaggi inseriti nella macchina, alla pari di qualsiasi altro componente.




Raoul Hausmann, Lo spirito del nostro tempo (o Testa meccanica), 1919.
Si tratta di una testa di manichino misurata con un centimetro da sarta, contrassegnata con il numero 22, e circondata da vari ingranaggi. Con questa opera, l'artista vuole segnalare il fatto che il suo tempo (l'inizio del Novecento, ma possiamo ritenerlo valido ancora oggi e già per l'epoca in cui è ambientato Hard Times) è assurdamente segnato dalla misura, dalla macchina, dalla necessità di funzionare, invece di vivere pienamente. La testa umana, anziché essere sede di pensieri e fantasie, diventa un ingranaggio al pari di viti e bulloni.
L'opera di Hausmann è da collocarsi nella corrente del Dadaismo.

martedì 9 aprile 2013

Crystal Palace

Il Palazzo di Cristallo, ideato da Joseph Paxton in occasione della Great Exhibition tenutasi a Londra nel 1851, è diventato il simbolo della posizione dominante dell'Inghilterra vittoriana  come potenza industriale e imperiale. Il palazzo era costituito in vetro e ghisa e fu ricostruito in seguito all'esposizione: un po' come per la Tour Eiffel, costruita per l'Esposizione Universale del 1889, il Crystal Palace doveva essere una struttura provvisoria, ma, a causa del favore popolare, si decise di modificarlo per renderlo permanente. Nel 1936 venne poi definitivamente distrutto da un incendio.








La Great Exhibition fu per l'Inghilterra un evento in cui mostrare a tutti la propria potenza economica e la grande innovazione tecnologica. Vennero esposti 200 mila oggetti provenienti da tutto il mondo, dalla locomotiva vapore agli elefanti dell'India, chiamata "Jewel in the Crown", con riferimento alle grandi ricchezze che questo territorio procurava all'Inghilterra .


La sezione indiana alla Great Exhibition (1852).


Sebbene in Hard Times Dickens non parli della dominazione inglese in India (argomento raro nella letteratura dell'epoca), questo mondo lontano entra comunque nell'opera nelle molte descrizioni delle macchine di Coketown: gli ingranaggi e i pistoni di ferro si trasformano infatti in elefanti malinconici, lamentosi e affaticati.

But no temperature made the melancholy mad elephants more mad or more sane. Their wearisome heads went up and down at the same rate, in hot weather and cold, wet weather and dry, fair weather and foul. The measured motion of their shadows on the walls, was the substitute Coketown had to show for the shadows of rustling woods; while, for the summer hum of insects, it could offer, all the year round, from the dawn of Monday to the night of Saturday, the whirr of shafts and wheels.                                                                               (Parte seconda, capitolo primo)

mercoledì 3 aprile 2013

Il circo equestre a Coketown


Cecilia Jupe è la nuova allieva della scuola di Coketown, in cui è giunta insieme al circo; interrogata dal preside circa il lavoro del padre, risponde che é ammaestratore di cavalli. La risposta è inaccettabile per Gradgrind, il quale conosce solo i fatti, l'utilità pratica e immediata delle cose e non concepisce l'esisteza di mestieri che si occupino di divertimento e che vogliano stimolare l'immaginazione; pone dunque termine alla conversazione affermando che il padre di Cecilia è veterinario.

L'arrivo del circo a Coketown ha un effetto destabilizzante. In una città dominata dal fumo, in cui tutto è fabbrica, anche l'essere umano, l'irrompere di questi artisti di strada spacca la monotonia del lavoro industriale, rappresenta il colore, l'allegria, il disordine e la sovversione delle leggi della società di Coketown, cioè della società in cui la macchina è padrona e in cui tutti si adeguano al suo ritmo.
Infatti, nel testo originale, gli artisti del circo vengono così presentati da Dickens:
 Meanwhile, the various members of Sleary’s company gradually gathered together from the upper regions, where they were quartered, and, from standing about, talking in low voices to one another and to Mr. Childers, gradually insinuated themselves and him into the room.  There were two or three handsome young women among them, with their two or three husbands, and their two or three mothers, and their eight or nine little children, who did the fairy business when required.  The father of one of the families was in the habit of balancing the father of another of the families on the top of a great pole; the father of a third family often made a pyramid of both those fathers, with Master Kidderminster for the apex, and himself for the base; all the fathers could dance upon rolling casks, stand upon bottles, catch knives and balls, twirl hand-basins, ride upon anything, jump over everything, and stick at nothing.  All the mothers could (and did) dance, upon the slack wire and the tight-rope, and perform rapid acts on bare-backed steeds; none of them were at all particular in respect of showing their legs; and one of them, alone in a Greek chariot, drove six in hand into every town they came to.      
 Abbandonata dal padre che non può prendersi cura di lei, Cecilia è affidata a Gradgrind il quale afferma che per lui sarà grande soddisfazione educarla con rigore, in modo da farla diventare la prova in carne e ossa dei vantaggi del suo metodo. Non più storie di fate, di nani di folletti, ma solo calcoli e dati da memorizzare. per rivolgendosi alla figlia, Gradgrind dice: "Louisa, never wonder!" (Luisa non immaginare mai!).
 Come già illustrato in precedenza, anche qui è evidente come la società della tecnica possa minacciare fantasia e arte; se tutto diventa un numero, se tutto diventa meccanicamente controllabile, la distanza tra umanità e macchina rischia di diventare sempre più ridotta. La tecnologia deve aiutare l'uomo nel compiere operazioni complesse, in modo che questo abbia più tempo da dedicare a svaghi tipicamente umani, come l'immaginazione.

Per quando Gradgrind si impegni nell'educarla, la figlia Luisa non potrà mai cancellare, ma solo reprimere la sua fantasia...



Il circo, Georges Seurat, 1891


Great Circus, Marc Chagall, 1984