Pittore delle Niobidi, Cratere attico, 460-450 a.C. |
Aprendo un dizionario di Greco antico alla voce tèchne, trovo: "abilità manuale, tecnica, arte, mestiere, metodo teorico, lavoro, manufatto". Il vocabolo può essere collegato alla parola poiesis, cioè la "produzione". Quindi, questo termine indica fondamentalmente due tipi diversi di attività: in primo luogo, la trasformazione della natura per ricavarne un'opera; in secondo, l'applicazione di una conoscenza generale (teoria) ai singoli casi (pratica), ovvero ciò che noi oggi chiamiamo tecnica. In generale, quindi, tèchne può significare un sapere esperto dei mezzi adatti a qualsiasi attività; abbraccia arti e mestieri. (fonte)
Analogamente, guardando alla voce ars, artis (che traduce tèchne), nel dizionario della lingua latina, leggo: "arte, opera d'arte, modo di agire, abilità, mestiere, teoria, cognizioni teoriche, trattato". La radice di ars, oltretutto, è la stessa di artus che ha significato di "strumento", "articolazione", "arto".
Dunque ars esprime la capacità di produrre oggetti, che si possono definire artistici, con abilità, secondo conoscenze consolidate e aventi basi teoriche.
La parola greca, cioè tèchne, ha donato la propria radice a "tecnica", quella latina, invece, è passata all'Italiano come "arte".
Come mai due parole, che per noi hanno una valenza ben diversa l'una dall'altra, erano intese dagli Antichi con un significato pressoché identico?
E' questo un dualismo ben radicato in tutta la nostra cultura: secondo l'uso comune, infatti, si pensa spesso che la tecnica indichi qualcosa fatto seguendo regole precise, una produzione scientifica e razionale; l'arte è invece l'attività dell'irrazionale, dell'incontrollato, ed è svolta perlopiù da chi può permettersi "il lusso" di non lavorare.
Ancora nel Medioevo, ars designa le discipline (scienze) in cui si viene articolando il sapere, ossia il sistema delle "arti liberali" insegnate nelle scuole medievali: grammatica, retorica (tecnica di stesura di un discorso), logica (regole del ragionamento), aritmetica, geometria, astronomia e musica (teoria dell'armonia).
Riflessioni importantissime sul dualismo tra scienza(e sapere) e arte(e fare) appartengono a tutto il Romanticismo, movimento letterario, artistico e culturale nato a fine Settecento; Goethe, infatti, sostiene che, nel momento in cui l'uomo si rivolge alla natura e cerca di conoscerla, tramite l'intuizione intellettuale (che corrisponde a una conoscenza puntuale, non deduttiva), egli si eleva a Dio e diventa creatore della natura stessa; per Goethe non c'è dunque iato tra conoscenza e arte: capire la natura significa creare artisticamente.
Il punto focale della questione sta nella parola artigiano: egli è colui che produce oggetti, seguendo tecniche precise e assodate; alla fine del processo, di cui ha seguito tutti i passaggi, l'oggetto può essere identificato come una sua personale creazione, in cui lui ha messo parte della propria personalità, e che è diverso da quello creato da un altro artigiano. Ancora in Italiano, l'artigiano racchiude in sé il duplice significato che gli antichi attribuivano ad ars, di cui porta, infatti, la radice.
D'altro canto, con la nascita e lo sviluppo della produzione industriale e in serie, questo non è più verificato; spesso chi produce conosce solo una piccola parte delle azioni necessarie per arrivare alla prodotto finale, così come un operaio di fabbrica conosce, per esempio, come montare le porte di un'automobile, ma non sa come avviene la verniciatura della carrozzeria. All'operaio viene insegnato il meno possibile: la tecnica per risparmiare tempo, la tecnica per fare meno fatica, etc. Nel sistema di fabbrica si perde la propria individualità; non si è creatori, ma esecutori, non contano né lo spirito né la personalità dell'addetto.
E' quindi con lo sviluppo dell'industria, a scapito dell'artigianato, che le strade della tecnica e dell'arte si separano definitivamente, fino a potersi solo guardare da una certa distanza.
L'esempio, riportato da Adam Smith nel primo capitolo di An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations (1776), del sistema produttivo della fabbrica di spilli prova al meglio questa osservazione.
«Ho visto una piccola fabbrica di questo tipo dove lavoravano soltanto dieci uomini e quindi dove taluni di essi eseguivano due o tre distinte operazioni. Ma sebbene fossero poverissimi
e quindi scarsamente attrezzati delle macchine necessarie, essi potevano, applicandosi, fare tra tutti circa dodici libbre di spilli al giorno. In una libbra vi sono oltre quattromila spilli di
media grandezza. Quelle dieci persone potevano, quindi, fare complessivamente oltre quarantottomila spilli, faceva quindi in media quattromilaottocento spilli al giorno. Ma se avessero lavorato separatamente e indipendentemente, e se nessuno di
loro fosse stato addestrato a questo speciale mestiere, essi certamente non avrebbero potuto fare venti e forse nemmeno uno spillo al giorno ciascuno»
WN 80-81
Interessante.
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